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I bambini possono “giudicare” i genitori?

Adriana Gangemi

 

L’importanza del rapporto educativo che si instaura tra i genitori ed i figli è evidenziato da numerosi studi e ricerche condotte in questo ambito dagli psicologi dello sviluppo.Gli studiosi Maccoby & Martin (1983), hanno individuato due principali dimensioni sulle quali si sviluppano i diversi stili educativi: la dimensione permissività – severità, si riferisce al grado di controllo esercitato dai genitori sul comportamento dei figli; la dimensione sollecitudine - ostilità fa riferimento alla valenza affettiva dei genitori, possono, cioè, verificarsi dei sentimenti di approvazione e delle manifestazioni d’affetto nei confronti del bambino o, di contro, dei sentimenti di freddezza ed indifferenza. Dalla combinazione di queste dimensioni, Diana Baumrind (1971) ha elaborato 4 modelli di comportamento genitoriale. Lo stile autoritario è fondato sul potere dell’adulto con una dimensione emozionale distaccata e severa. I genitori cercano di controllare il comportamento  dei figli per ottenere l’obbedienza alle regole imposte senza la possibilità di una discussione o mediazione della norma; raramente sollecitano l’opinione del bambino impedendo lo sviluppo di qualsiasi forma di dialogo; non apprezzano o mostrano piacere per i risultati che ottiene; sono direttivi ed esigenti e puniscono i figli in caso di trasgressioni, senza dar loro spiegazioni. Lo stile permissivo si caratterizza per un basso livello di controllo dei genitori, nella convinzione che i bambini debbano imparare a comportarsi sulla base della propria esperienza, con una deresponsabilizzazione dell’adulto dal compito di prendere decisioni disciplinari. I genitori permissivi esprimono affetto, ma chiedono pochi risultati ai loro figli, sono meno rigidi rispetto all’obbedienza delle regole, sono poco coerenti nella disciplina, e generalmente lasciano ai bambini grande libertà nell’organizzare la propria giornata, consultandoli sulle strategie di conduzione familiare. Essi, quindi, non si considerano gli autori di un modello educativo che il bambino deve seguire per la sua maturazione, ma come una risorsa che può decidere di utilizzare. Nello stile autorevole i genitori riconoscono i desideri dei loro bambini, esercitano responsabilmente un costante controllo nei loro confronti con l’uso di tecniche non punitive, incoraggiando la comunicazione e gli scambi verbali e rispettando le opinioni dei bambini. Questi genitori non estremizzano l’obbedienza all’autorità come una virtù in sé ma spiegano i criteri delle loro regole di condotta, utilizzando sia modalità di potere che di ragionamento, e accettano che i bambini possano esprimere il proprio punto di vista. La relazione che si instaura è caratterizzata da un affetto manifestato in modo caldo e intenso, da molto dialogo e senso di protezione trasmesso al bambino. Lo stile trascurante e di rifiuto si contraddistingue per il disimpegno sia sul fronte del controllo che su quello affettivo. Questi genitori non sono né ricettivi né esigenti, non guidano né controllano le attività dei bambini, non forniscono un sostegno limitandosi ad offrire loro pochi strumenti di comprensione del mondo o delle regole sociali. Nella sua ricerca la Baumrind (1971), considerando le correlazioni tra i comportamenti dei figli e gli stili genitoriali (autoritario, permissivo, autorevole e trascurante), osserva che i bambini con i genitori autoritari mancano di competenza sociale in particolare nei confronti degli altri bambini; raramente prendono iniziative; mancano di curiosità e di spontaneità; possono manifestare aggressività per identificazione della figura parentale autoritaria. I figli di genitori permissivi mostrano una certa immaturità, difficoltà a controllare i loro impulsi, ad assumersi la responsabilità delle proprie azioni, sono poco assertivi e generalmente poco interessati ai risultati dei propri comportamenti. I figli di genitori che rifiutano tendono ad essere i meno maturi per quanto concerne sia la sfera cognitiva che la sfera sociale, e sono spesso caratterizzati da un sentimento di insicurezza nelle relazioni sociali. I bambini cresciuti in un clima autorevole mostrano fiducia in se stessi, autocontrollo, curiosità e competenza sul piano sociale. I genitori chiedono loro di impegnarsi per raggiungere mete elevate, favoriscono la comprensione nei bambini delle regole sociali, producono sentimenti di autostima, sicurezza, indipendenza, altruismo, motivazione all’impegno per ottenere il successo. Lo stile autorevole sembra dare risposte ai genitori che sentono il conflitto fra le dimensioni del controllo e dell’affetto: l’elemento cruciale che li lega può essere solo la comunicazione e la cooperazione, che consentono ad un genitore di mantenere la relazione con il figlio, sia comunicando l’affetto, sia prendendo posizioni di autorità. Lo studio svolto successivamente da Hoffman (1983) differenzia gli stili educativi dei genitori attraverso due opposte tecniche di intervento disciplinare: uno basato sulla costrizione, o fisica o psichica (power assertion), caratterizzato  dall’utilizzo della forza, dalla privazione di oggetti materiali, dalla proibizione di attività piacevoli, o dalla sola minaccia di compiere tali cose; l’altro, fondato sulla persuasione, o razionale o emotiva (induction), basato sul ragionamento, consiste in  un dialogo persuasivo di tipo razionale, facendo riflettere il bambino circa la motivazione delle proprie azioni, motivando e spiegando anche le punizioni, oppure facendo appello a sentimenti positivi del bambino, quali l’autostima, l’orgoglio, il piacere del proprio autocontrollo. Partendo da questi presupposti teorici, una ricerca svolta presso L’Istituto Scolastico “Principessa Mafalda”, nel dicembre 2004 a Roma (A. Gangemi, tesi di Laurea 2004), si propose di verificare, attraverso un’intervista, il peso che hanno, sul giudizio del bambino e sulle sue emozioni, due fattori: il tipo di pratica disciplinare e lo stile genitoriale utilizzato. Per quanto riguarda il primo fattore, vengono confrontati due tipi di interventi: la dimostrazione di forza vs il ragionamento; per quanto riguarda il secondo fattore, viene confrontato uno stile genitoriale “caldo”, cioè affettuoso e accogliente, con uno stile “freddo”, più indifferente e severo. Hanno partecipato a questa ricerca 67 bambini, 30 maschi e 37 femmine di età compresa tra i 7 ed i 9 anni, provenienti da classi III e IV elementare, con bacino di utenza di ceto  medio - alto. L’intervista prevedeva domande su due situazioni di trasgressione (dire parolacce), commesse da due bambini, protagonisti della storia narrata, seguite dall’ intervento disciplinare delle madri, basato in un caso sull’uso della forza (una minaccia e manifestazione di rabbia), mentre nell’altro caso, basato sul ragionamento (rimprovero motivato e manifestazione di scontentezza). Le storie erano caratterizzate dagli interventi di due madri differenti, una caratterialmente fredda, l’altra con un comportamento abitualmente caldo nei confronti del figlio, che adottavano entrambe le tecniche disciplinari in due storie diverse. L’intervista si concludeva con un confronto con i propri sentimenti e con le valutazioni del comportamento materno in caso di punizione o elogio. Come era prevedibile, il giudizio dei bambini è più positivo nei confronti dell’uso del ragionamento rispetto all’uso della forza. La madre caratterialmente “fredda” è giudicata peggio di quella calda anche quando usa il ragionamento;  di contro, la madre “calda” non viene “perdonata” quando usa la forza. Infine, ai bambini intervistati, veniva chiesto se i protagonisti delle storie avrebbero persistito nel loro comportamento scorretto (dire parolacce), anche dopo l’intervento della madre, o se avrebbero smesso di farlo. Nonostante i bambini abbiano mostrato di approvare maggiormente l’intervento della madre basato sul ragionamento dell’errore commesso, affermano che entrambe le tecniche avranno notevoli effetti di obbedienza futura, ma per motivazioni diverse: il bambino che ha ricevuto un rimprovero severo non ripeterà la trasgressione principalmente per paura di un’altra punizione, mentre il bambino che ha beneficiato delle spiegazioni della madre sembra aver interiorizzato meglio la regola morale che rispetterà in futuro.

 

Bibliografia

aumrind D. (1971). Current patterns of parental authority. Developmental Psychology Monoghraphs, 4.

Maccoby E.E. & Martin J.A. (1983). Socialization in the context of the family: Parent-child interaction. In P.H. Mussen (Series Ed.) & E.M. Hetherington (Vol. Ed.), Handbook of child psychology: Vol. 4. Socialization, personality, and social development (pp. 1-102). New York : Wiley.

Hoffman M.L. (1983). Affective and cognitive processes in moral internalization: An information proccesing approach. In E.T. Higgins, D. Ruble & W. Hartup (Eds), Social cognition and social development: A socio-cultural perspective (pp. 236-274). Cambridge, England: Cambridge University Press.

Gangemi A. (2004). Le pratiche educative genitoriali e lo sviluppo morale nel bambino. Tesi di Laurea, Università degli Studi di Roma La Sapienza, Facoltà di Psicologia.  

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