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Ridere è una cosa seria

di Barbara Corte

                                        

Troppo spesso la nostra vita è impregnata e appesantita dalla seriosità dell’essere. La serietà sembra essere la caratteristica che riveste di dignità i valori portanti della società occidentale. Quante volte un bravo medico viene presentato come un medico “serio”? Persino negli annunci matrimoniali spesso si legge “cinquantenne, bella presenza, serio, non fumatore cerca compagna con pari caratteristiche”. Veniamo educati a soffrire, quasi mai a godere. Il riso viene spesso vissuto come qualcosa di frivolo, marginale, indice di disimpegno, relegato al “tempo libero”. Eppure l’esperienza dello humour costituisce un fenomeno di centrale rilevanza nella vita umana. Ridere è il sale della vita, colorisce la quotidianità, smorza la drammaticità di alcuni momenti, è fonte di energia e positività, crea complicità nelle situazioni sociali, allevia la tensione derivante da conflitti emotivi e fonti di stress interne ed esterne. Lo scoppio di riso è un vero e proprio scossone, un potente elemento di ristrutturazione, un’opportunità di ribaltare situazioni problematiche attraverso una soluzione creativa. Anche le leggende e le favole decantano l’importanza del riso, narrando spesso il dramma di re annoiati o le gesta di eroi impegnati a guarire principesse che non riescono più a sorridere. Esistono diversi miti risalenti all’alba del mondo che sono concordi nell’attribuire al riso la funzione di dispensatore di salvezza, di “abbondante energia presente nel cosmo e creatrice di tutte le cose”, come afferma l’antropologo A. Di Nola. Uno di questi racconta di Demetra, dea della terra e della fertilità, prostrata da un tragico lutto: il tetro Ades, signore dei morti ha rapito Persefone, sua figlia, facendone la sua sposa e confinandola nel regno degli inferi. La tristezza della madre si ripercuote su tutto il creato investendo di sterilità ogni cosa. La morte avrebbe vinto sulla vita se non fosse stato per il divertente stratagemma di un’ancella, Baubo, la quale si dipinge sul ventre un volto bizzarro, in cui gli occhi sono i seni, la bocca coincide con l’ombellico e il mento si adagia sulla vulva. All’ennesimo rifiuto di Demetra davanti una bevanda d’orzo, Baubo scopre repentinamente il proprio corpo, in modo che le braccia, ripiegate sulla testa, coperte dalla veste, risultino uno strano turbante sul grottesco volto maschile che appare di scatto alla dea. Davanti questo inatteso spettacolo, Demetra scoppia in una fragorosa risata e finalmente accetta la bevanda. In questo modo il lutto è interrotto e la terra torna a concedere i suoi frutti.Esiste nella letteratura psicologica una molteplicità ed eterogeneità di spunti e spiegazioni sull’umorismo, nonostante ciò nessuna teoria del passato sembra essere stata in grado di decifrare in modo soddisfacente il mistero del riso. Alcuni hanno sottolineato la componente aggressiva, primo tra tutti Freud che identificava nella battuta di spirito un modo socialmente riconosciuto per  scaricare le  pulsioni aggressive, adeguatamente mascherate. Un altro orientamento, che trova le sue radici nella filosofia greca, si sofferma sul sentimento di accresciuta autostima, padronanza, sicurezza che accompagna lo humour e sul vissuto di superiorità rispetto all’oggetto di scherno. Nel Filebo, Platone descrive l’umorismo come una punizione per la debolezza presuntuosa, la vanità di chi “non conosce se stesso”. Similmente Aristotele considerava la risata una reazione contro la debolezza e la bruttura, concetto successivamente ripreso da Hobbes, per il quale la risata deriva dal rinvenimento “di alcune superiorità in noi stessi se paragonate ad alcune debolezze degli altri, o che noi stessi avevamo precedentemente” e da Bergson per il quale il riso sottolinea e vorrebbe correggere “ciò che vi è di rigido, di precostituito, di meccanico, in opposizione a ciò che vi è di duttile, di continuamente mutevole, di vivente, la distrazione in opposizione all’attenzione, l’automatismo in opposizione alla libera attività”. Un altro approccio, che trova riscontro anche in alcuni scritti di Kant e di Schopenhauer, si focalizza sugli elementi cognitivi dello humour, rinvenendo la fonte della risata nella contraddizione delle aspettative e nel paradosso. Bateson propone un ulteriore lettura dell’umorismo come “metacomunicazione che permette di distaccarsi, di sollevarsi dalla comunicazione paradossale, come un invito ad accettare provvisoriamente l’assurdo, nella consapevolezza della sua assurdità. Dal punto di vista cognitivo altre teorie pongono l’enfasi sulla flessibilità dell’umorista nel cambiare prospettiva, sulla sua capacità di distanziarsi dalla situazione ansiogena in modo da poterci ironizzare sopra.Ognuno degli approcci descritti sembra cogliere un  aspetto particolare dell’umorismo ma non sembra esaurire completamente un fenomeno cosi complesso e articolato. Un contributo contemporaneo interessante a questo riguardo sembra essere quello di Bonaiuto e Giannini  che superando i limiti delle teorie unifattoriali del passato individuano alla base dell’umorismo una costellazione di condizioni concomitanti ed indispensabili. Il fattore iniziale, che innesca la catena di eventi psichici generatori dell’esperienza umoristica è identificato nel conflitto cognitivo che segue la percezione di un paradosso. L’immagine o l’evento paradossale contraddice le aspettative dell’osservatore, sostenute dai suoi schemi mentali, generando uno stato di frustrazione e di tensione emotiva che mobilita una carica di aggressività verso l’oggetto paradossale. L’aggressività che mira alla distruzione dell’oggetto viene però bilanciata da esigenze di natura opposta (sociali, costruttive, autoaffermative, conoscitive, di tensione emotiva) che si traducono in interesse, benevolenza, empatia e chiedono la protezione dell’elemento paradossale, producendo un ulteriore stato conflittuale. A questo punto, perché il conflitto venga composto dando luogo all’esperienza del riso è necessaria un’ulteriore condizione: una situazione di rassicurazione emotiva e relativo distacco affettivo che consentono un vissuto di superiorità nei confronti della situazione incongruente. In assenza di tale ingrediente il conflitto evolverebbe più facilmente verso diverse manifestazioni emozionali di tonalità seria che vanno dalla sorpresa alla meraviglia, alla curiosità, all’inquietudine, al fastidio fino alla paura, l’angoscia, il terrore. Sono paradossi, infatti, anche gli errori, le ingiustizie, le disgrazie, le mutilazioni, ma è infrequente che suscitino il riso, coinvolgendo spesso l’osservatore emotivamente. Una volta poste le condizioni sopra descritte, il soggetto ha l’opportunità di comporre ed esprimere le esigenze contrapposte attraverso una condotta aggressiva ritualizzata, che consiste nella ridicolizzazione dell’oggetto o evento frustrante e si manifesta nel comportamento del riso. La risata è un segno di dominio, di confronto vittorioso, di affermazione di sè, l’azione conclusiva di un crescendo emotivo, un occasione per ridurre la tensione e affermare la propria superiorità su un nemico ormai ridimensionato, il quale viene in qualche modo degradato evitando comunque un’azione violenta. Il comportamento del riso sembra infatti essersi evoluto filogeneticamente dal digrignamento minaccioso dei denti e dal gridare negli scontri aggressivi in modo da scoraggiare l’avversario ed evitare il confronto corporeo. Da queste riflessioni appare evidente che lo humour non è sinonimo di leggerezza, disimpegno ma, al contrario, è un’efficace alternativa alle condotte aggressive più aperte, una piacevole soluzione che permette di conciliare le tendenze aggressive con le altre esigenze importanti per l’individuo ed il gruppo. Esso è il frutto di una complessa interazione tra componenti istintive e fattori di apprendimento, intelligenza e creatività e si prospetta come soluzione efficace nella gestione del conflitto e dello stress. L’efficacia dell’umorismo come meccanismo di difesa dall’ansia ha portato molti psicoterapeuti ad utilizzarlo nel loro lavoro. Grazie all’umorismo è possibile esprimere contenuti ed emozioni bloccate in modo non pericoloso, sottolineare in modo non troppo invasivo atteggiamenti incongrui del paziente; ridere insieme significa  complicità, alleanza, passaggio emozionale al cambiamento. Secondo Rollo May l’umorismo ha la funzione di preservare il senso di sè, consentendo di porre una distanza tra se stesso e il proprio problema, in modo da esaminarlo da una prospettiva differente. La condizione del distacco emozionale è infatti uno degli ingredienti fondamentali dell’esperienza umoristica e comporta uno spostamento di livello, una ristrutturazione del campo percettivo-cognitivo che permette soluzioni alternative e originali. Anche Allport sottolinea il valore terapeutico della risata, affermando che il nevrotico che ride di se stesso è forse sulla strada della guarigione. Del resto, per capire l’importanza della risata per il benessere fisio-psicologico dell’individuo, è sufficiente osservare cosa accade quando questa esperienza è inibita, per trovarsi a contatto con la triste realtà della depressione che compromette vari aspetti della vita e spesso necessita un intervento clinico.In questo senso potremmo affermare che ridere è qualcosa di molto serio.

 

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