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LO SCAMBIO LINGUISTICO IN BAMBINI CON SINDROME DI DOWN

Simonetta Salvatori

 

La domanda a cui questa ricerca ha provato a rispondere è come l’input linguistico dell’adulto possa influenzare l’apprendimento del linguaggio da parte del bambino affetto da Sindrome di Down, e soprattutto se tale input possa essere migliorato al fine di facilitare lo sviluppo delle capacità comunicative dei bambini.La ricerca poggia le  sue basi sulle nozioni di Jerome Bruner, il quale sosteneva che lo sviluppo comunicativo-linguistico evidenzia l’importanza dell’interazione sociale come veicolo fondamentale di trasmissione dinamica di conoscenze storico-culturali.Essa prevede un certo scambio di informazioni tra gli interlocutori, reciprocità bidirezionale, un coinvolgimento attivo dei partner nello scambio, nel quale ciascuno porta conoscenze ed esperienze diverse sia in quantità che in qualità. Possiamo avere così un’azione di modellamento dell’esperto (adulto), e/o un’azione di scaffolding (il fornire un’impalcatura di sostegno, Bruner 1977) sul quale impostare lo sviluppo di abilità cognitive complesse,che suscita nell’altra persona un comportamento imitativo.Nei bambini portatori di Sindrome di Down., lo sviluppo delle abilità verbali è molto irregolare, generalmente con un inizio  promettente, seguito da uno sfasamento che si accentua dopo la fase del balbettio e delle prime parole. I bambini con Sindrome di Down possono presentare uno sviluppo comunicativo orale inferiore a quanto ci si potrebbe aspettare in base al loro livello cognitivo. E’ soprattutto nella fase di espansione del linguaggio che vengono messe in discussione e debbono venire considerate le correlazioni o le non correlazioni tra il Sistema Linguistico e Sistema Cognitivo, sia per quanto riguarda il versante espressivo che recettivo. Nell'ambito della psicolinguistica evolutiva un consistente corpus di ricerche ha analizzato le caratteristiche del linguaggio che gli adulti rivolgono ai bambini piccoli che imparano a parlare.Questo linguaggio è stato chiamato motrerese o baby talk.Un aspetto dell'input linguistico che sembra facilitare l'acquisizione del linguaggio è la contingenza semantica", e cioè la replica della madre semanticamente collegata alla precedente espressione del bambino che tende a prolungare lo scambio comunicativo. Un ulteriore approfondimento del ruolo dell'input e dell'interazione sociale nell'acquisizione del linguaggio riguarda l'analisi dello stile comunicativo dei genitori di bambini che presentano problemi di sviluppo. Gran parte delle ricerche in questo campo hanno esaminato il linguaggio delle madri di bambini affetti da ritardo mentale come nel caso della sindrome di Down. Questi studiosi hanno mostrato che le madri di bambini con ritardo mentale producono un linguaggio meno complesso in termini sintattici e adottano uno stile di interazione più direttivo delle madri di bambini normali con la stessa età cronologica. Altri autori riportano che il linguaggio delle madri di bambini Down è simile a quello delle madri di bambini normali riguardo agli aspetti strutturali qualora si effettui in confronto non in base all'età cronologica dei bambini ma secondo un indice di sviluppo come ad esempio, l'età linguistica, l'età mentale

 

LA RICERCA  

IL METODO

Abbiamo utilizzato le interazioni di due bambini con Sindrome di Down in interazione con un adulto e un genitore interamente videoregistrate. Apparentemente, ad una analisi visiva delle osservazioni in nostro possesso c’è parso che la natura dell’interazione fosse modulata, da parte dell’adulto, in una direzione che tende a restringere le possibilità di intervento da parte del bambino. L’interazione a prima vista c’è parsa quindi stereotipata. Per verificare questa sensazione abbiamo esaminato la situazione comunicativa che si instaura tra il bambino con Sindrome di Down e il suo interlocutore, considerando contesti diversi e differenti interlocutori ed evidenziando i fenomeni legati all’aspetto degli scambi linguistici.

IL CAMPIONE

Hanno partecipato alla ricerca due bambini (Michele e Simone) affetti da sindrome di Down di età cronologica rispettivamente di 5anni e mezzo e 6 anni, ambedue seguiti presso l’IRCCS  Santa Lucia di Roma. E’ lo stesso istituto che ha fornito il materiale videoregistrato per questa analisi. 

PROCEDURA

Ciascun bambino è stato osservato durante le seguenti tipologie d’interazione: gioco di finzione con la sperimentatrice e  riconoscimento di oggetti con la sperimentatrice e in interazione con la mamma e con la sperimentatrice in un contesto di gioco libero. I genitori erano stati informati che lo scopo dell’osservazione era raccogliere un campione di linguaggio spontaneo, pertanto era stato detto loro di giocare con il proprio bambino come erano soliti fare, usando il materiale ludico a disposizione nella stanza, materiale abitualmente utilizzato nel gioco simbolico con la funzione specifica di facilitare la produzione verbale in un contesto di attività-gioco familiare al bambino. L’interazione è stata completamente videoregistrata. La produzione linguistica è stata scomposta in enunciati adottando il criterio intonazionale proposto da Moneglia e Cresti (1993) cioè due qualsiasi espressione che possa essere interpretata pragmaticamente, ovvero cui sia attribuibile una illocuzione sulla base del pattern intonativo”. Successivamente i nastri sono stati nuovamente visionati e le trascrizioni arricchite di informazioni contestuali necessari all’interpretazione dei fenomeni di nostro interesse. Il materiale rimasto indecifrabile, dopo la seconda trascrizione è stato segnalato ed escluso dall’analisi, mentre le forme lessicali poco chiare ma distinguibili in base a informazioni contestuali, sono state codificate tra parentesi ed incluse.

MISURE

Per misurare gli aspetti linguistici e comunicativi dell’interazione tra l’adulto e i nostri 2 bambini, abbiamo ritenuto opportuno identificare il tipo di input linguistico fornito dallo sperimentatore e dalla mamma.L’input, che abbiamo chiamato “prompt linguistico”, riguarda non tanto la preparazione del setting interazionale, ma soprattutto il coinvolgimento tentato dall’adulto nei confronti del bambino, e lo svolgimento dello scambio linguistico attorno ad un oggetto. In particolare abbiamo considerato i punti in cui l’adulto cerca di attirare l’attenzione del bambino e di elicitare il linguaggio attraverso domande o esortazioni come “ Lo sai fare anche tu? Come fa questo? Cos’è questo? Come si chiama? Lo facciamo insieme così”. Dopo aver individuato il prompt dell’adulto, abbiamo isolato tutte le volte in cui il bambino non risponde e non produce alcuna azione; oppure le volte in cui il bambino risponde adeguatamente al prompt fornito dall’adulto, etichettando l’oggetto o denominandolo, o attribuendogli una proprietà/qualità; oppure le volte in cui il bambino riproduce attraverso l’utilizzo di una forma verbale l’azione compiuta sull’oggetto dallo sperimentatore o che egli stesso compie sull’oggetto; oppure le volte in cui il bambino compie un’azione appropriata a quell’oggetto. La codifica utilizzata per individuare il prompt linguistico dato dall’adulto e la risposta del bambino, è formata da una duplice informazione che tiene conto del tipo di sollecitazione linguistica effettuata dall’adulto e del tipo di risposta data dal bambino ( denominazione ed etichettamento, produzione di verbo o dell’azione corrispondente).

CODIFICHE

In base a quanto descritto, abbiamo trovato i seguenti tipi di prompt:

A. Prompt linguistico che è una domanda o un’esortazione finalizzata ad elicitare nel bambino la produzione di un’azione o di un verbo che espliciti l’azione. La risposta del bambino può essere appropriata alla richiesta dell’adulto oppure non esserlo.

ES 1: Adulto: “ come fa questo?” oppure ”fammi vedere come fa questo” (prompt di richiesta di esplicitazione di un verbo che indichi l’azione).

1.1. risposta bambino: “vola”(risposta adeguata alla richiesta).

1.2. risposta bambino: il bambino fa volare l’aereoplano (risposta adeguata ma non sottoforma di linguaggio).

1.3. risposta bambino: “aereo” (risposta inadeguata perché non corrisponde alla richiesta dello sperimentatore).

B:Prompt linguistico che è una domanda o una esortazione finalizzata ad elicitare nel bambino la produzione di un nome (denominazione) o di un attributo/qualità attorno all’oggetto di riferimento. La risposta del bambino può essere appropriata alla richiesta dell’adulto oppure non esserlo.

ES 2:Adulto: “chi è questo?” oppure “mi fai vedere chi è questo?”.

2.1. risposta bambino: “orsetto” (risposta adeguata alla richiesta).

2.2. risposta bambino: mostra l’orsetto (risposta adeguata non di tipo linguistico).

2.3. risposta bambino: “salta” (risposta non adeguata. Il bambino infatti ha prodotto un verbo al posto di un nome).

Abbiamo individuato anche i Turni 0, ossia tutti quei casi in cui il bambino risponde alla richiesta dell’adulto rimanendo fermo o non facendo nulla. Data l’esigua produzione linguistica di questi bambini, abbiamo deciso di accorpare in una  unica categoria le risposte linguistiche e quelle che corrispondono ad un’azione vera e propria, riservandoci in uno studio successivo una ulteriore valutazione più specifica di questi aspetti. Abbiamo usato la sigla AZI per indicare il prompt dell’adulto fornito nell’esempio A e DEN il prompt dell’adulto così come riportato nell’esempio B. Allo stesso modo la risposta del bambino è stata classificata come AZI o come DEN .Una volta individuati i prompt linguistici e le relative risposte del bambino, abbiamo cercato momenti particolarmente salienti nei quali ci fosse una interazione e quindi una maggiore concentrazione di enunciati espressi dall’interlocutore e mirati soprattutto alla elicitazione di risposte di tipo linguistico. Per ottenere una misura di queste sequenze abbiamo immaginato una configurazione simile ai format individuati da Bruner (1993) che abbiamo chiamato “formati d’interazione”. Per codificare i formati d’azione sono stati considerati i seguenti indici:

1. Numero di sollecitazioni linguistiche formulate dall’adulto e mirate ad ottenere una risposta del bambino.

2. Tipo di oggetto usato nell’interazione .

3. Completezza ( o incompletezza) del formato d’interazione calcolata in base al numero di risposte adeguate e congruenti da parte del        bambino.

4. Numero di elementi di novità introdotti dal bambino durante il formato d’interazione.

Questi elementi sono stati utili per capire se e quanto il bambino abbia interagito efficacemente e sia stato capace di modificare il formato d’interazione in base alle proprie esigenze comunicative.

RISULTATI

Da una prima osservazione si evince che i prompt  che l’adulto rivolge al bambino sono molto pochi se paragonati al numero totale di enunciati prodotti dall’adulto stesso durante tutta l’interazione.Soltanto nell’interazione dei bambini con la mamma notiamo un maggior numero di prompt rispetto agli altri contesti.Nell’insieme questi risultati potrebbero indicare una rigidità della sperimentatrice nel sostenere la conversazione ed un’attenzione rivolta principalmente alla preparazione del setting, come dimostra il fatto che il maggiore numero di enunciati sia stato formulato proprio nel contesto di gioco di finzione Nel contesto di riconoscimento dell’oggetto (contesto 1) notiamo che Michele usa prevalentemente risposte di tipo verbo o azione, mentre Simone ha un numero maggiore di risposte di tipo denominazione. Anche se in generale si nota una equipollenza della modalità in base alle capacità individuali del bambino, è significativo rilevare una cospicua presenza di tuni 0.Nel  contesto di gioco di finzione (contesto 2) vediamo che i prompt  più usati sia per Michele che per Simone sono quelli che elicitano risposte di tipo verbale o azione.Questo potrebbe indicare che, in una situazione come il gioco di finzione, in cui la sperimentatrice era interessata soprattutto al compimento di azioni stereotipate, il bambino abbia appreso lo scopo dell’interazione e si sia adeguato alla richiesta dell’adulto, producendo più risposte che elicitavano un’azione.Per quanto riguarda il contesto di gioco libero (contesto 3) sembrano esistere differenze in base al tipo di interlocutore. Nel corso di interazione con lo sperimentatore si verifica una presenza poco cospicua di tentativi di coinvolgere il bambino. Nel caso in cui il bambino interagisce con la mamma invece, si nota la presenza di un numero visibilmente maggiore di prompt linguistici che potrebbero rilevare una maggiore spinta alla comunicazione da parte dell’interlocutore/genitore, nel dettaglio notiamo che in una situazione meno stereotipata come è il gioco libero il bambino si sforza di produrre un maggior numero di nomi rispetto a contesti in cui preferisce usare verbi o azioni.Interessante è osservare il numero di turni 0, ossia di non prosecuzione del bambino al prompt fornito dall’adulto, che è simile sia con la mamma che con la sperimentatrice. Questo dato potrebbe venir ricondotto alla scarsa capacità linguistica del bambino comunque si accompagna alla patologia, principalmente nel contesto di interazione con la mamma in cui le richiesta di elicitazione linguistica sono più frequenti.

CONCLUSIONI

Nel complesso questi risultati ci portano a concludere che l’interazione avvenuta con la mamma sia stata per i bambini più stimolante e ricca di spunti, rispetto a tutte le altre interazioni. Per contingenza si intende la capacità dell’adulto di proseguire l’interazione centrandola sugli stimoli introdotti dal bambino.Sembra che lo sperimentatore adotti uno stile prevalentemente non contingente in entrambi i contesti. Questo atteggiamento conferma i dati già discussi ( stereotipia della conversazione) ed è particolarmente presente nel contesto di gioco di finzione nel quale troviamo un numero elevato di formati incompleti ed un numero poco consistente di elementi di novità. Probabilmente la sperimentatrice non era interessata a proseguire l’interazione introdotta dal bambino, ma anzi richiedeva implicitamente una cieca risoluzione del compito, senza l’introduzione di elementi di variabilità. A parte ciò non bisogna dimenticare che il compito della sperimentatrice era di portare  a termine una serie di compiti chiesti al bambini, sia di ripetizione di sequenze, come nel gioco di finzione, sia di denominazione, come nel gioco di riconoscimento.L’interesse della sperimentatrice nel proseguire le interazione proposte dal bambino era perciò quasi nulla. Le mamme sostengono un numero quasi totale di elementi di novità introdotti dal bambino, mentre la sperimentatrice tende a ignorare tali iniziative.La mamme tendono a sostenere l’interesse spontaneo dei bambini.Questo risultato farebbe ipotizzare che le mamme dei bambini Down abbiano la capacità non mettere in atto cambiamenti che potrebbero alterare l’andamento dell’interazione.La mamma utilizza uno stile più conversazionale, mentre la sperimentatrice sembra seguire un’interazione più incentrata al controllo delle capacità sviluppate dai bambini .Un altro concetto fondamentale è quello dell’attenzione condivisa. Risulta importante soprattutto per quanto riguarda l’incremento del vocabolario, che avviene spesso all’interno di situazioni di lettura di libri o di denominazione: importante per quanto riguarda l’acquisizione di nomi è la contingenza, cioè il denominare proprio ciò che il bambino sta guardando; per quanto riguarda l’acquisizione di verbi invece va denominata non l’azione in corso, ma quella imminente e la situazione più adatta potrebbe essere il gioco di far finta. Nei nostri risultati notiamo un’inadeguatezza dell’input rivolto dall’adulto al bambino con sindrome di Down.Le difficoltà specifiche legate al linguaggio  rendono necessaria un’interazione ricca di interscambi, ma quando il bambino è meno adeguato nel coprire il suo ruolo, in particolare comunicativo,all’interno dell’interazione stessa l’adulto sembra a sua volta meno capace di interagire, e quindi meno capace di supportare il bambino.Un aspetto rilevante è stato individuato nello stile d’interazione che l’adulto adotta nei confronti del bambino, e in particolare dello stile comunicativo materno. Lo sviluppo comunicativo/linguistico implica il coinvolgimento attivo e creativo del bambino e di una figura significativa che comunichi con lei/lui e funga da sostegno all’interno di contesti di interazione e di gioco ricchi e divertenti per entrambi In generale si può dire che lo stile d’interazione “centrato” sul bambino, in cui sono molto presenti estensioni ed espansioni, ha effetti positivi sullo sviluppo linguistico, mentre uno stile più basato sui bisogni dell’adulto, come quello direttivo (ordini, richieste, istruzioni) oppure quello asincronico/svalutativo (non rispetto dei centri di attenzione del bambino, molte sconferme o svalutazioni) correla negativamente con l’acquisizione del linguaggio, anche perché offre solo un minimo di informazione linguistica rilevante.Nel nostro caso lo stile direttivo della sperimentatrice non permette uno sviluppo socializzato del comportamento.La scelta del contesto, stereotipata e rigida, non permette di rispecchiare gli interessi del bambino. Non possiamo non chiederci se gli oggetti scelti dall’adulto rientrino all’interno delle conoscenze linguistiche del bambino, o se rappresentino un numero elevato di categorie lessicali. Nella nostra ricerca i bambini cercano molte volte di inserire elementi di novità all’interno del formato d’interazione, ma non sempre vengono accontentati. L’utilizzo di elementi di novità o la non responsività alla richiesta indicano che sia Simone che Michele non trovavano stimolanti le interazioni con la sperimentatrice, ed infatti è solo con la mamma che troviamo una capacità di creare situazioni non stereotipate.Per quanto riguarda la mamma spesso il linguaggio da lei usato era troppo semplificato, e quindi potenzialmente sottostimolante, ma ciò non è raro nei genitori di bambini con disturbi del linguaggio, in quanto l’adulto è spinto a privilegiare un input linguistico troppo semplificato, perché tendenzialmente il bambino sembra mostrare più attenzione e a rispondere con più frequenza a questo tipo di linguaggio (Hvastija, Stefani,Bonifacio1998).  

 

BIBLIOGRAFIA

Bruner J.S.  (1983) „Il linguaggio del bambino“, Armando,Roma 1989

Sabbadini L., Ossella T. (1994)“Educazione al linguaggio” Contardi A., Vicari S.“Le persone Down “ pp. 183-198, Angeli, Milano.

Snow C., Perlmann R., Nathan D.(1987) “Toward a multiple-factors model of the relation between input and language acquisition”  in K.E. Nelson & van Kleeck(eds), Children’s Language, (Vol. 6, pp. 65-98). Hillsdale, NJ: Erlbaum. 

Spinelli M., Garcez E., Sarruf M., Endsfeldz  A. “ Il linguaggio parlato in portatori di sindrome di down” da Il congresso mondiale sindrome di down, Madrid 23-26 ottobre 1997. 

 

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