|   Una
      facoltà perduta 
      
      Paola Locci
      
        
      
       Qualsiasi
      scienza, o disciplina, o materia, studia qualcosa: la botanica studia le
      piante, la zoologia studia gli animali, l’astronomia studia gli astri,
      ecc. La peculiarità di materie come la filosofia, o la fisiologia, o la
      psicologia sta nel fatto che è l’uomo che studia sé stesso. Il proprio
      pensiero nella filosofia, il proprio corpo e il suo funzionamento nella
      fisiologia, il proprio mondo interiore nella psicologia. In quanto
      osservatore di sé stesso, ogni essere umano dovrebbe essere in grado, cioè
      competente, a parlare di sé stesso. Purtroppo, spesso non è così.
      Spesso pensiamo, decidiamo, scegliamo, e agiamo, in modo del tutto
      inconsapevole. Il che significa che raramente ci chiediamo l’origine di
      idee, scelte ed azioni che pure ci appartengono e che costituiscono –
      nel bene e nel male – l’impalcatura di quella complessa costruzione
      che è la nostra esistenza.
      
      Pur tenendo sempre presente la maggiore difficoltà della psicologia
      rispetto alle cosiddette scienze esatte, è tuttavia possibile applicare
      alla psicologia i criteri generali del metodo scientifico, alla base del
      quale c’è l’osservazione.
      
      L’osservazione è il principale strumento del metodo scientifico: nel
      caso della psicologia umana, parliamo di osservazione empirica (dal greco
      empeirìa = esperienza), e cioè osservazione non di un oggetto, ma di un
      evento, di un fenomeno. Ovviamente, in questo campo, non sempre l’evento
      da osservare è riproducibile in laboratorio, come, ad esempio, la maggior
      parte degli esperimenti di fisica o di chimica. Molte acquisizioni in
      psicologia si sono avute per l’osservazione casuale di fenomeni non
      provocati artificialmente; ma non per questo sono meno valide.
      
      Ad esempio, sappiamo che un bambino privato dalla nascita della presenza
      di altri esseri umani, e allevato dai lupi, acquisirà il comportamento
      dei lupi. Sappiamo che è così certo non per merito di un esperimento, ma
      perché casualmente, e disgraziatamente, questo fatto è accaduto e c’è
      stata quindi la possibilità di osservarlo.
      
      Ma lasciando da parte il campo dello studio e della ricerca, anche nella
      nostra vita quotidiana può essere interessante riscoprire ed affinare
      questa nostra capacità innata, ma così poco utilizzata nella vita
      adulta. Il bambino piccolo passa gran parte del suo tempo ad osservare ciò
      che gli accade intorno e lo fa con un’attenzione ed una concentrazione a
      volte sconcertanti. Eppure, questo fatto non dovrebbe sorprenderci: se ci
      pensiamo un attimo, è vitale per qualsiasi essere vivente acquisire il
      maggior numero di informazioni possibile sull’ambiente che lo accoglie e
      nel quale dovrà imparare a sopravvivere da solo. Poi, col passare degli
      anni, è come se perdessimo questa capacità, questa curiosità e,
      distratti da troppe cose senza importanza, smettiamo di guardarci intorno.
      Tanto più smettiamo, o non cominciamo mai, a guardarci dentro. Ed anche
      in questo dovremmo recuperare quella inesauribile capacità infantile che
      costituisce il tormentone dei genitori: la capacità di chiedere il perché
      di tutto.
      
      Perché non riproviamo anche noi, adulti smaliziati e distratti, a
      chiederci il perché delle cose? Potremmo accorgerci di quanti
      automatismi, luoghi comuni e pregiudizi è costellata la nostra vita, e
      magari potremmo riuscire a sfrondarla un po’ da tanti falsi problemi.
      
       
       
       
        
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