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CORSO DI ADDESTRAMENTO ALLA COMUNICAZIONE ASSERTIVA

(come gestire i conflitti)

Il corso ha ottenuto 12 crediti ECM per tutte le professioni sanitarie e il riconoscimento dall'Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio

Senso di catastrofe: tra tecnica psicoanalitica individuale e gioco di ruolo nell’analisi in gruppo.

di Roberto Pani [1]


Introduzione

Riferendomi al senso di catastrofe, mi riferisco ad un’esperienza vissuta con senso di minaccia interna come se una base importante o vitale appartenente alla struttura psichica di Sé fosse sul punto di crollare. Il senso di autocedimento è solitamente conseguente all’evento di percepire se stessi di fronte ad una svolta drammatica ed inevitabile[2].Il soggetto, specialmente quando psichicamente fragile, si organizza in modo difensivo di fronte alle minacce esterne/interne, irrigidendosi ed in qualche modo paralizzandosi.Assai spesso la situazione di cambiamento che è concepita all’interno di Sé come catastrofica, può provocare reazioni psicosomatiche, con-fusione, manifestazioni di terrore seguiti da attacchi di panico: non sono rare difese schizoidi e pensieri di morte seguiti anche da tentativi di suicidio.Questi segnali di crollo emergenti indicano che l’Io non è sufficientemente in grado di rappresentare a se stesso la situazione psicologica interna, pertanto di sentire, né di muoversi all’interno di un spazio simbolico (Bollas 1987). Pertanto il paziente tende a prendere alla lettera tutti i messaggi che gli vengono inviati, senza poter distinguere la musica dallo strumento: tale mancanza di flessibilità nell’elaborare il pensiero simbolico inevitabilmente implica vissuti e soluzioni drammatiche che aggravano il senso di equilibrio del Sé e conducono ad una sorta di paralisi del pensiero e dell’azione.Per esempio, sembra che gli alessitimici non siano in grado di riconoscere sufficientemente le proprie emozioni, cosicché la situazione conflittuale a livello inconscio, non può manifestarsi attraverso vie semplici d’espressione: pertanto non riescono ad sentire i propri desideri, né a trovare un senso convincente in ciò che fanno, (Bollas 1989). Gli individui alessitimici risultano pertanto essere limitati nel gestire la loro realtà emozionale interna ed anche nell’apprendere dall’esperienza quel che dall’esterno invece potrebbe nutrire ed irrobustire il loro senso di Sé.Le esperienze indigerite imprigionano il paziente all’interno del meccanismo della coazione a ripetere, (Freud 1914). Il soggetto non sperimentando a sufficienza l’autonomia interna tanto da sentire la libertà di compiere scelte significative, cioè di desiderare distintamente un oggetto altro da sé, non può tollerare il passaggio maturo che si svolge dal livello dell’impulso a quello dell’azione, poiché un tale piano comporterebbe il rischio di mettere in crisi l’indispensabile ed ossessivo sistema di autocontrollo.Questo genere di paziente non trova altra via d’uscita che quella di mettere in atto (acting out) impulsi e compulsioni che, nel loro attuarsi, permettono il sentire se stessi, ma anche, nella loro ripetitività, offrono l’illusione di percepersi ovattati all’interno di un guscio: è la dimensione immaginaria che loro stessi evocano, all’interno della quale cercano di assestarsi, che rappresenta proprio l’equivalente di questo stesso guscio (Pani 1989).Nella mia pratica in psicoterapia psicoanalitica, sia individuale che in psicoterapie condotte in gruppo, ho osservato più di una volta come per tali pazienti sia stato assai difficile, se non qualche volta impossibile, sperimentare il senso del movimento psichico del gioco e dell’alternativa di fronte ad una pressione esercitata da un bisogno urgente sperimentato all’interno di Sé. Ho anche osservato come nell’ambiente familiare originario, soltanto un genitore sia risultato significativo, mentre l’altro sia stato vissuto quasi assente o scarsamente importante. Mi sembra che, nella maggior parte dei casi, il genitore significativo sia rappresentato dalla figura materna, persona obiettivamente spesso ansiosa ed intrusiva verso il figlio/a, mentre la figura del padre appare inadatta ad offrire a questi pazienti una via d’uscita in alternativa agli attacchi derivanti dall’ansia materna.Riferendoci alla tecnica psicoanalitica duale, ritengo d’accordo con molti autori, per esempio, Gill (1982); Bollas (1987); Luborsky (1990), che tra i numerosi fattori psicoterapeutici specifici, utili al progresso del trattamento, il dialogo intrapsichico tra analista/analizzando, presente nella coppia analitica grazie all’analisi del transfert e la coscienza del controtransfert, costituisca il fattore psicoterapeutico di maggior efficacia, anche per gli approcci di tecnica breve.Penso che in psicoanalisi (includendo tutti gli interventi induviduali ed in gruppo) i movimenti psichici inconsci correlati con le esperienze del mondo interno paziente/analista entrino a far parte del setting come atti convenzionali espressi precipuamente dalla parola. Il setting appare allora come uno spazio riservato che si apre rivolgendosi ad un teatro della mente, (McDougall, 1985), cioè come ad una sorta di palcoscenico privato e protetto dove gli interlocutori interni sono gradatamente accolti come ospiti della scena. Con questi l’Io, aiutato dallo psicoanalista, cerca di dialogare e progressivamente di ridurre le distanze: i rappresentanti degli interlocutori interni emergono infatti nel setting come figure significative, cioè come derivati di situazioni pre-edipiche e edipiche ed altre tra loro intrecciate le quali si estendono e più o meno si trasformano attraverso le relazioni affettive più recenti.Lo psicoanalista dovrebbe essere pronto ad assorbire tali figure fantasmatiche che il paziente gli attribuisce. Si deve alla intuizione e capacità di distinguere al proprio interno tali immagini sovrapposte l’efficacia dell’interpretazione su ciò che sta accadendo nel qui ed ora della relazione: al tempo stesso, il direttore della cura mira con l’interpretazione al progresso del dialogo sia interpsichico che intrapsichico all’interno della coppia analitica a favore del cambiamento e dell’alternativa. Infatti tale conversazione intrapresa sopra tutto a livello inconscio, dovrebbe favorire nel paziente risposte alternative e promuovere in lui risoluzioni per la sofferenza.Come in un palcoscenico immaginario il discorso prende forma proprio quando il rapporto tra le varie comparse[3] ed il protagonista[4] acquista una propria fisionomia all’interno dello spazio-setting[5] e appare adeguatamente a fuoco, (Pani 1994).Nella tecnica duale, ove appunto è privilegiata la comunicazione verbale, accadono in verità atti od eventi che vanno considerati fuori dal setting o dalle regole, (Modell 1990). Ciò si verifica perché, all'interno del Sé, alcuni oggetti interni, direbbe M. Klein, oggetti che appunto personalmente preferisco chiamare interlocutori, sono ancor così attivi e conflittuali, da non poter essere rappresentati dalla mente, né nominati e pertanto padroneggiati dall’Io. Come conseguenza di ciò, l’Io non può dare voce, né corpo a tali interlocutori, neppure ai dialoghi conflittuali che possono svolgersi all'interno dello spazio analitico, giacché tale contesto virtuale si fonda sostanzialmente sulla comunicazione verbale: infatti riuscire ad esprimere attraverso le catene associative della parola implicherebbe dunque che i vissuti emotivi siano sufficientemente riconoscibili ed accettabili tanto da essere pensati, (Strachey, 1934).Per questa ragione, ho verificato come nelle patologie alessitimiche la tecnica dello psicodramma analitico in gruppo sia più efficace rispetto al setting esclusivamente verbale nel mediare e gestire movimenti psichici del mondo interno: in psicodramma analitico la comunicazione è consentita e valorizzata non soltanto per mezzo della parola, ma anche per la postura del corpo e della mimica espressiva: le modalità del dialogo che si svolge nel proprio mondo interno consentono all’Io di assumere gradatamente un di maggior rilevanza ruolo in "casa propria". Inoltre lo scambio dei ruoli, l’identificazione passiva, (ascolto delle situazioni riguardanti gli altri partecipanti) ma anche quella attiva, (interventi nel gioco), la tecnica del doppiaggio da parte di tutti i partecipanti, la tecnica del monologo spontaneo[6] facilitano lo scioglimento delle parti del Sé che sono ancora fuse e bloccate. Il teatro della mente si compenetra con il teatro del corpo e viceversa. (Mc Dougall 1987).Generalmente il gruppo appare come un luogo d'iniziazioni rituali nel quale le immagini possono essere espresse come cose comuni. Queste possono anche sollecitare indicazioni utili per interpretare e per facilitare l’individuazione del discorso sia del singolo che del gruppo come interità. In questo senso la mente gruppale provoca parecchi moventi psichici e conduce ad un pensiero simbolico promotore di una possibile crescita psicologica.I partecipanti funzionano anche come Io ausiliari, per questo possono affiancare lo psicoanalista (o il direttore) ed aiutarlo nello scopo psicoterapeutico. Per questo il setting (palcoscenico) essendo più spazioso e ricco di stimoli può offrire ai soggetti che vi partecipano molteplici identificazioni introiettive e proiettive. In psicodramma, il doppiaggio, il movimento ludico dell’inversione di ruolo, il rispecchiamento costituiscono tecniche che offrono l’occasione per entrare nel punto di vista dell’altro senza correre direttamente il rischio di giocare direttamente il ruolo di protagonista.

Luca: analisi individuale. Caso clinico A

Luca è in psicoanalisi individuale da circa sei mesi con frequenza quadrisettimanale.Un vissuto di disastro con esplosione di importanti sintomi fu il debutto che lo condusse in trattamento psicoaanalitico quando, qualche anno prima si accorse di aver fallito un programma che comportava trascorrere un periodo di studio in Inghilterra. Desiderava migliorare il suo inglese con l’intento di trasferirsi all’estero per una maggiore qualificazione professionale. Si rivolse a me dopo ripetuti attacchi di panico, (agorafobia e altri sintomi). Tali eventi costrinsero Luca a barricarsi in casa, impedendogli di recarsi al lavoro presso un’agenzia di pubblicità ove era impiegato come disegnatore grafico.In seguito a questi problemi ed insuccessi, tentò anche il suicidio senza gravi conseguenze.Sebbene risultasse un giovane d'aspetto più che gradevole, la sua vita affettiva era penalizzata da seri problemi sessuali d'origine psicologica, ed inoltre non era in grado di gestire la sua dipendenza dalle ragazze con cui aveva relazione, per cui le sue laconiche storie non potevano durare che pochi mesi .La madre con cui il paziente ancora viveva, era descritta come persona ansiosa, comunque percepita assai più serena del padre di Luca da cui la donna aveva divorziato da molti anni.Al primo colloquio il paziente affermò di essere terrorizzato e devastato dall’angoscia di un senso di crollo imminente: egli temeva questa sensazione più dell’idea di morire o di farla finita.In seguito, durante i mesi successivi ai primi colloqui di presa in carico, il lavoro analitico aiutò il paziente a ridurre repentinamente i sintomi.Riporterò un sogno raccontato da Luca verso la fine del sesto mese d’analisi:... Fernanda (un’amica cui il paziente è segretamente attratto) viene a casa mia per dormire con me, per fare del sesso ..... dormiamo nel letto di mia madre approfittando della sua assenza... letto matrimoniale grande e comodo. (il paziente mi ricorda che in altre circostanze aveva approfittato dell’assenza del genitore per aver qualche storia di sesso, anche con la sua ultima ex-fidanzata da cui si era separato da poco tempo). Sempre nel sogno - continua Luca - quando ci svegliamo il giorno dopo, il guardaroba di mia madre si era ingrandito enormemente, mentre la stanza dove avevamo dormito si era ristretta. Nel tentativo di rivestirmi, trovavo solo una maglietta che mi aveva prestato Mario[7].Fernanda sembrava non avesse vestiti da mettersi addosso, perché, al contrario di me, non si trovava a casa propria, per cui sembrava che sarebbe stata costretta ad indossare i vestiti scelti e prelevati direttamente dal guardaroba di mia madre, di cui fra l’altro, condivideva la taglia.Il paziente racconta che nei giorni precedenti al sogno, Fernanda gli aveva regalato un libro intitolato "Esercizi d’amore" di cui aveva sottolineato a matita alcuni passi allo scopo di segnalarli a Luca, allo scopo discuterne in seguito a voce. Il paziente invece era stato infastidito da questo gesto e, a mala pena, aveva accettato il romanzo in prestito lamentando il disagio di leggere un testo già scarabocchiato da altri.Per di più la notte prima del sogno, Luca era stato invitato ad una festa dove aveva condotto con sé Fernanda allo scopo, forse contando sulla complicità degli amici, di sedurla.Mario, che nel sogno gli aveva presta la maglietta, aveva cercato di attrarre Fernanda a sé a dispetto dell’amico, il quale sentendosi tradito, scoraggiato e frustrato, si era allontanato, cercando di far parte di un altro gruppetto d’amici. Entrando in questo rifugio temporaneo, un amico lo stimola a reagire sollecitandogli a liberarsi della timidezza nei confronti di Fernanda.A questo punto del sogno ho la sensazione che Luca stesse cercando ambivalentemente di vestirsi di un abito, un’uniforme di qualche sorta che lo munisse di un ruolo, di un’identità; mi sembrava cioè che desiderasse prendere una posizione più decisa per vincere le sue paure, ma al tempo stesso, di non sentirsi in grado di assumere una posizione psicologica di responsabilità, in altre parole, di sopportare un ruolo di primo piano nell’amministrare i propri desideri .Sembrava dunque che Luca avesse in modo vicariante occupato la posizione di Mario; per di più, le libere associazioni che seguirono il sogno, dimostravano che il paziente tanto ammirava Mario da non poter star dentro all’abito-immagine di cui l’amico si rivestiva.E’ come se il vestito del seduttore funzionasse per Luca soltanto se indossato dall’amico, dall’Altro, (Lacan)[8]. Nel sogno infatti, l’atto di trovare la maglietta prestata da Mario, indicava che il desiderio del paziente stava là dove egli avrebbe immaginato di indossare i panni del seduttore, proprio secondo quanto Mario si manifestava al mio paziente, senza però correre il rischio di assumerne diretta responsabilità come invece ne assumeva il possessore della maglietta.In aggiunta a ciò, penso al momento in cui il paziente, sempre nel sogno, si trova costretto alla poverissima scelta circa i vestiti da indossare, mentre Fernanda ha a sua disposizione l’intera gamma degli abiti che sono contenuti nel guardaroba della madre; come dire che il paziente, al contrario della propria madre, sentiva di non avere molte opportunità di vivere una vita ricca d'esperienze.Infatti, il paziente mi aveva a lungo precedentemente parlato dell'immagine deludente di suo padre – divorziato dalla madre, figura debole e divenuta povera, uomo dedito all’alcol, un’immagine che egli non avrebbe per nulla desiderato emulare.A questo punto desidero comunicare al paziente soltanto una parte del mio pensiero, così gli dico: forse lei mi sta chiedendo di aiutarla a recuperare una sua propria maglietta a T, invece di usare quella di qualcun altro come nel passato. Nel sogno lei mi mostra come Fernanda abbia maggiori possibilità nella propria posizione psicologica al femminile, così come dal suo punto di vista, sua madre potrebbe apparirle nella vita meglio provvista di vestiti rispetto a suo padre dalla cui debolezza psicologica lei teme di essere "infettato". Infatti se, l’altra sera alla festa lei fosse stato più sicuro di se stesso, non avrebbe lasciato aperto il campo al suo amico allo scopo di evitare una possibile competizione.Inoltre rifletto sul fatto che il paziente non aveva potuto introiettare la capacità di funzionare in modo competitivo necessario per confrontarsi con l’immagine maschile: infatti egli aveva potuto sempre insinuarsi liberamente nel letto matrimoniale della madre senza mai incontrare l’opposizione competitiva del padre, sperimentato dal paziente come inconsistente, (Freud 1912).L’altra parte del mio pensiero non verbalizzato e che era maturato nel tempo, concerneva la più profonda posizione tenuta dal paziente nei miei riguardi riconoscibile nella relazione di transfert. Nel controtransfert, sentivo essere presente nella scena analitica, cioè il palcoscenico interno, una sorta di madre arcaica intrusiva e divorante, (M.Klein 1932). Un’indicazione di questo potrebbe emergere nel sogno considerando il rifiuto del paziente di leggere il libro già sottolineato da Fernanda, situazione vissuta come un’imposizione di una madre intrusiva. La stanza da letto materna ancora diventava più stretta e soffocante. Osservavo inoltre come la posizione del paziente con braccia e gambe retratte, mi richiamasse un corpo fetale posto dinanzi a me per essere avvolto, (Favorenti ed altri 1998).Ricostruivo mentalmente l’ipotesi secondo la quale la sua debole struttura psichica interiorizzata riguardasse un’immagine di padre incapace di offrirgli un valido supporto: pertanto il paziente aveva bisogno di autoriferirsi ad una struttura fallica (analista-padre), ma sentivo che qualcosa di ben più importante era mancante e che questo difetto fondamentale, (Balint 1968), poteva essere legato ad un’immagine materna che metaforicamente teneva tutti i vestiti per sé.Nei primi mesi d’analisi, Luca poté lavorare sui sintomi più propriamente nevrotici, cioè quelli che erano connessi con l’inconsistenza del padre; nei mesi che seguirono Luca avrebbe sperimentato nell’amante della madre il pungolo doloroso che evocava il primo tradimento in senso edipico.In seguito, disfunzioni sessuali e disturbi fobici avrebbero offerto occasioni di esplorare aspetti psicotici del paziente e di poterli anche gestire.In ogni modo, la qualità della vita di Luca migliorava considerevolmente. Egli riusciva complessivamente a riprendere lo stile del suo sentirsi normale come positiva conseguenza del mio essere con lui. Sentivo che la nostra relazione progrediva gradatamente, e che sebbene lungo un periodo esteso di tempo il senso di catastrofe veniva tenuto sempre più sotto controllo: pensavo che ciò fosse ottenibile per via della generale funzione di contenimento analitico, di restituzione e scambio, ma anche per effetto della frustrazione dell’astinenza che l’analisi duale presuppone, (la mancata visualizzazione dell’analista, mancate o immediate risposte agli interrogativi del paziente, Croce 1989): il paziente deve aver percepito il mio essere con lui laddove egli aveva bisogno, ma, al tempo stesso, Luca stava sperimentando un senso di separazione che implicava assumersi la propria parte di responsabilità nel gestire le nuove realtà future. L’obiettivo più ambizioso era di raggiungere una posizione globale di protagonista, cioè d’essere in grado d'elaborare le esperienze con sufficiente autonomia. A questo riguardo, tornando alle premesse teoriche iniziali, sono disposto a riconoscere una certa connessione di contiguità tra vissuto di catastrofe, blocco del pensiero nel senso di incapacità di processare simbolicamente le esperienze, ristretto spazio psichico, limitati movimenti psichici ed infine dipendenza patologica. Ipotizzo che l’evoluzione dell’opposto di questi concetti connessi tra loro possa condurre ad un processo di risanamento. Pertanto sostengo che la situazione psicoanalitica funzioni simbolicamente come all’interno di un palcoscenico in un teatro ove le vicende in scena siano molto intrecciate tra loro: mi immagino come se in tale situazione numerosi attori interpretino ruoli in scenette che si svolgano tutte contemporaneamente. Il pubblico sarebbe impegnato nel seguirle tutte, ma sarebbe anche confuso. Il regista sarebbe costretto a dare priorità e centralità ad alcune di questi episodi, per evitare il caos. Dal mio punto di vista, in analisi il paziente è paragonabile sia al regista che all’attore: infatti cerca di dare priorità alle scene, che si svolgeranno sulla base dei desideri prevalenti, all’interno dello spazio psichico rappresentato dal presente-futuro. Infatti egli ripercorre anche i livelli del proprio passato che si ripete e si intreccia con i vari livelli dell’attuale. L’analista-direttore adotta il paziente per un certo periodo e si presta anche ad essere diretto traduttore degli interlocutori interni del paziente-attore: lo scopo è quello di favorire una nuova e più attuale posizione di protagonista attraverso un dialogo tra gli interlocutori interni di cui l’analista è appunto interprete e direttore. Se la relazione analitica è abbastanza buona, il paziente sarà in grado di far primeggiare nel proprio teatro interno la scena prodotta dai suoi desideri autentici e di dare la parola al più importante protagonista, cioè la parte di se stesso che considera migliore.; egli potrà ristrutturare il proprio edificio interno riscrivendo con più chiarezza parti infelici di sé. Allo scopo di progredire in questo gioco il paziente-regista dovrà contattare i propri oggetti interni o fantasie primarie ad essi connessi, e aumentare l’area di gioco e la flessibilità per cambiare ed elaborare le esperienze, (Gaddini 1987).Se il direttore-analista avrà un’abilità di funzionare con quel paziente nel senso di assorbire e contenere gradualmente ciò che è troppo indigesto e di restituirgli quel che egli sarà in grado di assumere in sé in quel momento, egli riuscirà a mediare i vari piani della sua realtà psichica interna, (Winnicott 1965).In altre parole, il direttore (analista) temporaneamente accetta il ruolo (il vestito) assegnato dal protagonista (il paziente, l’attore) allo scopo di facilitare l’assunzione del proprio autentico ruolo. Una volta che egli sia diventato forte a sufficienza, l’analista gradatamente cercherà di condurre il paziente dal piano delle illusioni al piano della realtà. Ci domandiamo, pensando al transfert, "chi in quel momento sta parlando nella mente del paziente"?"Quali fantasie primarie passate dominano ancora nel presente il mondo interno del paziente"?Nel caso di Luca, suppongo che egli fosse temporaneamente guarito dai suoi sintomi psicosomatici e fosse in grado di moderare la sua tendenza all’acting perché era presente una nuova figura di padre in lui; mi riferisco ad un Io ausiliare sul quale, tramite identificazione proiettiva ed introiettiva, era possibile fare affidamento. Allo stesso tempo si profilavano nella scena analitica terrori arcaici che avevano anche fare con la figura materna, e sebbene non fossero analizzabili in quel momento, il paziente si sentiva protetto dall’immagine che benevolmente rappresentavo per lui, avendo la sensazione di tenerli sotto controllo, (Gaddini 1958/59).


Psicodramma Analitico in gruppo. Caso B: Matteo e Manuela

Matteo aveva trentatré anni quando entrò una volta alla settimana nel gruppo di psicodramma. Aveva svolto un breve trattamento psicoanalitico individuale con un collega ricavandone scarso progresso. Nella precedente analisi aveva portato pochissimi sogni, poi il lavoro giunse ad un punto morto. Nella psicoterapia in gruppo, considerando il tipo di reazione forse dovuta in parte al lavoro individuale già svolto in passato, si rivelò un paziente esemplare. Maggiore di due figli, perse la madre repentinamente quando aveva già cominciato la psicoterapia in gruppo. La donna mori’ improvvisamente tra le braccia del figlio a causa di un violentissimo attacco d’asma, ansiosa malattia di cui soffriva sin dalla nascita di Matteo. Quando tale importante evento venne raccontato in gruppo, creò un gran scalpore in alcuni, ma non sembrò che causasse in Matteo una perdita di equilibrio; ebbi l’impressione che le fantasie primarie del paziente sulla madre fossero più significative ed intense degli stessi legami reali. Sebbene ci sia stato un periodo di lutto, questo non sembrò durare molto a lungo, considerando che la relazione di Matteo con la madre appariva essere il problema centrale di certi suoi sintomi. Negli ultimi anni la sintomatologia ansiosa della madre peggiorò notevolmente forse anche perché andava realizzando che Matteo all’età di ventott’anni non riusciva a guarire da sintomi ossessivi-compulsivi, nonostante avesse intrapreso il trattamento individuale: i disturbi d’angoscia insopportabile si erano enormemente accentuati da quando il paziente si era reso conto di poter perdere il gruppo dei suoi ex compagni di scuola con i quali aveva mantenuto un rapporto quasi simbiotico sino a quel momento. Temeva di rimanere disperatamente solo ed in verità i compagni, pur non desiderando abbandonarlo, effettivamente, uno dopo l’altro, si fidanzavano con ragazze che incontravano la sera, sempre più frequentemente, poi si appartavano e si staccavano dal gruppo. Matteo trascorreva le serate passando da un locale ad un altro, pieno di rancore, imprecando contro gli amici sempre più stanchi dei suoi lamenti ed accuse loro rivolte. Egli era catturato da sensazioni di catastrofe e immaginava che sarebbe piovuto tutto il peggio sulla sua famiglia. Occasionalmente faceva abuso d’alcol .Così anche per questa preoccupazione che aggravava il senso della dipendenza dal gruppo degli amici, venne consultato uno psichiatra che suggerì la psicoterapia di gruppo. Lo psichiatra pensò, considerando che i sintomi emergenti erano connessi con il gruppo, un lavoro gruppale di psicoterapia avrebbe offerto maggiori indicazioni e più ampie possibilità di risoluzione. Matteo, nonostante le difficoltà della sua vita, riuscì a laurearsi in Economia e Commercio. Sfortunatamente e all’improvviso come già detto, la madre pochi giorni dopo, morì. Il paziente che aveva con lei una relazione di tipo simbiotico, raccontava al gruppo di psicoterapia che la poveretta, prima della sua morte, si rivolgeva a Matteo proclamandolo il più bello, il più intelligente, in breve, il migliore di tutti i ragazzi. Nelle sedute di psicodramma analitico durante i primi sei mesi di lavoro psicoterapeutico, Matteo aveva assunto un comportamento passivo e rifiutava di collaborare e quindi di giocare tutti i ruoli che, secondo la prassi dello psicodramma analitico, gli altri pazienti gli richiedevano d’interpretare. Gradatamente, l’interesse del gruppo nei suoi confronti cominciava a svanire. Il terapeuta, (direttore) nelle molteplici occasioni presentatesi, nelle quali Matteo rifiutava la sua partecipazione al gioco, interpretava il rifiuto alla partecipazione di Matteo come una difesa da vergogna ad un'intrusione estranea. In altre parole, sembrava che il paziente si sentisse minacciato al suo interno, lasciando trasparire un senso d’inconsistenza. Un giorno Matteo cominciò a segnalare la sua presenza fisica doppiando un’altra partecipante di nome Manuela, rivelando mentre stava collocato dietro di lei, secondo la tecnica di psicodramma, i sentimenti inconsci di vergogna che la donna non era in quel momento ancora in grado di riconoscere. L’interesse del gruppo nei suoi confronti dopo un tale intervento si riaccese e, da quel momento in poi egli fu invitato a giocare di nuovo. In un gioco importante egli fu chiamato a interpretare prima se stesso, poi in un’inversione di ruolo, a giocare la posizione della madre ansiosa che emanava un senso di catastrofe a causa del ritardo del marito nel rincasare. Matteo naturalmente mostrò difficoltà nell’interpretare la parte della madre, ma fu molto aiutato dagli altri partecipanti (Io ausiliari). Questi usarono il doppiaggio ed il rispecchiamento, cosicchè l’ambivalenza di Matteo verso la madre poté essere riconosciuta e contenuta da se stesso con l’aiuto degli altri. Mentre Matteo stava giocando la parte di sua madre, le sue espressioni mimico facciali cambiavano considerevolmente e la sua postura diveniva passiva e claunesca. Egli appariva poi stressato e senza respiro, probabilmente come molto spesso appariva la povera madre nella vita reale, quando era presa da attacchi di asma. Il senso di catastrofe di Matteo fu parzialmente supportato dagli Io ausiliari che cercarono di tenere insieme l’esperienza frammentata; quando gli ausiliari abbandonarono la scena, il direttore in posizione di alle spalle del paziente ancora nel ruolo della madre, invitò Matteo a continuare nel ruolo materno a verbalizzarne l’eventuale pensiero (soliloquio). Matteo disse: sono così dipendente da mio marito che non immagino come potrei vivere da sola, se davvero gli capitasse un incidente ….. avrei soltanto Matteo su cui contare. Il paziente realizzò in pochi minuti, probabilmente per la prima volta, quanto la madre avesse bisogno di lui e quale funzione fallica gli venisse richiesta.….Lei contava su di me, infatti, non stimava per nulla mio padre… anch’io non l’ho mai apprezzato ….ma, lei si aspettava da me veramente troppo …. Solo ora posso capire che non potevo essere me stesso e che lei era più dipendente da me, rispetto a quanto io lo fossi da lei stessa……Matteo ripeté al gruppo che la madre non stimava per nulla il marito, un ragioniere consulente, sebbene ne fosse legata morbosamente. In parecchie circostanze, la donna aveva esclamato di fronte al figlio che lui non avrebbe dovuto emulare il padre in alcun modo, perché persona meschina ed indegna; in qualche modo il paziente continuamente era coinvolto in situazioni nelle quali i genitori litigavano ed il padre ne usciva denigrato, perché la madre lo accusava di appartenere ad una classe sociale inferiore alla sua. Verso la fine di una recente seduta di psicodramma analitico Matteo racconta un sogno in cui lui stesso tentava di avere un rapporto sessuale con una donna di fronte ai suoi amici: il paziente non riusciva ad avere erezione (Lacan, Altro, Evans 1966) e pertanto si rendeva ridicolo davanti agli amici, un terremoto provocava il crollo dell’edificio in cui si trovavano. In seguito Matteo accetta di giocare l’episodio del sogno e per questo sceglie Emanuela come partner: il direttore suggerisce di giocare soltanto la parte preliminare del sogno insieme a pochi partecipanti che interpretavano gli amici guardoni…. poche parole pronunciate, pochi movimenti del corpo, molti sguardi scambiati… Matteo irrigidito con respirazione difficoltosa. Gli amici nei ruoli di interlocutori inconsci, trasformati in Io ausiliari si precipitano ad aiutarlo e sostenere il suo Ego che appariva in stato di crollo in una tensione somatica da incubo. Suggeriscono: .… non debbo sentirmi mortificato, non debbo vergognarmi… lei non potrà mai divorami…. Io rimarrò sempre me stesso e in me stesso.. e qualcun altro: se pur non sono un eroe sono pur sempre Matteo! ….Promuovo personalmente, come direttore, un’inversione di ruolo e Matteo diviene molto calmo: né l’immagine della madre, né il gruppo degli amici sembravano turbare la sua tranquillità mentre giocava il ruolo femminile. Nel soliloquio, sempre nel ruolo femminile disse: Matteo è un ragazzino, ma e così carino e tenero! … mi piacerebbe stare con lui….!Tutti tornarono a sedere in cerchio, e commentarono sulle difficoltà di Matteo nel differenziare la sua stessa immagine da quella della madre dentro di sé: così pure pareva difficile distinguersi dalla donna e dal gruppo degli amici, nella sua funzione d’interezza contenente. Tale confusione gli rendeva impossibile sperimentare personali ed autentici desideri di base. Matteo, infatti, appariva in soggezione di Manuela e del gruppo nella sua unicità e, pertanto, non riusciva a trovare una propria posizione psicologica autonoma. L’impressione che ricavai nel gioco sulla madre di Matteo riguardava l’immagine Lacaniana di un coccodrillo che teneva ancora dentro la sua bocca il giovane figlio proteggendolo e minacciandolo al tempo stesso senza mai lasciarlo andare. Come Luca, Matteo non poté fare affidamento infatti su una funzione di padre supportivo, sul quale non aveva potuto né contare né fare investimenti significativi, non avendo la madre stessa mai riconosciuto la sua funzione paterna.


Caso C: Manuela e Matteo


Circa dodici anni or sono avevo trattato in psicoterapia individuale, al ritmo di due volte la settimana, Manuela, (oggi di trentanove anni) per risolvere un dubbio ossessionante che la riguardava: dichiarava di essere legata ad un uomo da parecchi anni, ma di non essere pronta a sposarlo. Allo stesso tempo non era in grado di lasciarlo. Dopo un breve periodo dall’inizio della psicoterapia, si sentì meglio e decise di sposarsi. In seguito, la paziente interruppe la psicoterapia, in considerazione del fatto che, oltre ad essere venute meno le motivazioni per le quali lei era venuta in cura, provenendo da un’altra città, il mantenere la psicoterapia le sarebbe costato troppo anche in termini di tempo. Nello stesso periodo in cui Matteo entrava nel gruppo di psicoterapia, Manuela chiese nuovamente il mio aiuto a causa di gravi attacchi di panico; inoltre la tormentavano alcuni dubbi circa tentativi falliti nell’avere figli attraverso l’inseminazione artificiale[9]. Si trovava dunque ad un bivio: doveva decidere se perseverare nei tentativi di procreazione, scelta che avrebbe comportato una lunga serie di controlli medici piuttosto invasivi, oppure rinunciare definitivamente alla maternità. Nel suo mondo interno era comunque prevalente il teatro psichico secondo cui i test avrebbero confermato la sua inabilità ad avere figli, cosicchè avrebbe deluso la propria madre che invece, secondo la paziente, aveva grandi aspettative nei suoi confronti in tal senso. Manuela scelse Matteo come partner per rappresentare la propria madre, nella scena in cui stava spingendo ed incoraggiando la figlia nei suoi sforzi di aver un bambino, ma, al tempo stesso, inviava messaggi svalutativi circa le sue capacità procreative. In una seduta di psicoterapia di gruppo, Manuela giocando il ruolo di madre si distinse per la sua perfetta identificazione con lei, seguendo il copione che aveva ben raccontato precedentemente. Quando toccò a Matteo, nell’inversione di ruolo, interpretare la madre di Manuela, il paziente, fuori dal copione, esclamò: … Va all’inferno! …. sono stanca di sentire i tuoi lamenti; è ora che tu ti arrangi per conto tuo … io sono vecchia e stanca e tu hai la tua barca, stai nella tua barca! Tale esclamazione aiutò Manuela a comprendere come ella stessa avrebbe dovuto sentire la responsabilità di diventare madre ….Alcuni, tra i partecipanti tornati a sedere in cerchio dopo il gioco, notarono che Matteo, nella parte della madre di Manuela, aveva reagito diversamente da quel che ci si sarebbe aspettato. Il paziente ammise i propri sentimenti di liberazione nello sfogo del gioco.Di quale voce era egli l’interprete?Manuela diede al gruppo l’impressione di indossare una camicia di forza morale.Di quale voce era lei l’interprete?Alla fine della seduta, l’osservatore diede nota di come Matteo stesse cercando di liberarsi di un ruolo infantile con lo scopo di investire nel reale della propria vita: egli stava comprendendo che non era più tanto tenuto dalla bocca di sua madre.Il suo Ego cominciava a parlare all’interno di se stesso: il paziente cercava di conquistare un territorio lottando strenuamente con l’Altro (l’immagine della madre).A livello di funzionamento psichico Manuela sembrava muoversi in un inconscio regno appartenente all’ordine simbolico dell’immaginario, dominio della madre ambivalente, (Lacan). Egli non sembrava potersi sottrarre, infatti, dalla scena stilizzata del gioco. L’alterità ambivalente ancora padroneggia il suo spazio psichico interno.

Il senso di catastrofe e le due tecniche psicoanalitiche

Ho cercato di mostrare come il mondo interno sia un setting psichico in che entrambe le tecniche possano ben mettere in luce.L’analisi individuale favorisce rappresentazioni arcaiche al di là di quelle scopofiliche come risultato dell’astensione dell’uso della parola; nel setting della terapia duale questo atteggiamento non implica ovviamente una mancanza di risposta, ma piuttosto un tentativo di ripetere una domanda interna di transfert che è spesso significativa, allo scopo di sollecitare una distinzione più chiara tra i vari livelli psichici, lavorando su differenti piani con l’intento di ricostruzione del Sé, (Miglietta 1982).Quale tecnica potrebbe essere maggiormente utile nel gestire una situazione di crollo psichico non fortemente psicotico?Riferendoci al concetto di svolta drammatica che comporta un inevitabile senso di solitudine, la tecnica del gruppo, quale equivalente psichico di parti conglomerate della mente, sembra più efficace, in quanto si presta meglio al paziente (protagonista della scena interna), per alcune ragioni.La frustrazione conseguente dall’astensione dello psicoanalista non è particolarmente in uso nel gruppo di psicoterapia; per di più il gioco psicodrammatico offre l’opportunità di sperimentare differenti situazioni di vita reale da nuovi punti di vista. Sebbene il gruppo sembra offrire soltanto un’esecuzione reiterata della vita reale, si propone invece di enfatizzare gli elementi inconsci quali provengono dal teatro interno. Come risultato di questo, l’elemento spaziale e la partecipazione corporea contribuiscono all’estensione dell’espressione verbale, rendendo il gruppo psicodrammatico in molti casi più efficace e persuasivo dell’ intervento duale.In psicodramma, lo psicoanalista fa uso del gioco proprio come quando fa uso dell’intepretazione di transfert (Lemoine 1972). Questo avviene principalmente per mezzo dell’uso dello spazio e del linguaggio del corpo, il secondo risulta essere espressione più rappresentativa del Sé; come conseguenza, le emozioni, correlate all’esperienza che viene drammatizzata, facilitano il passaggio dal simbolico al reale attraverso i messaggi del corpo, (Lemoine 1982).Ciò naturalmente non significa che la psicoterapia psicoanalitica classica o quella psicodinamica breve che si svolge nella relazione duale, non producano risultati maggiormente completi e profondi. Con Bollas, (1987) penso che lo psicoanalista, nella sua pratica, sia continuamente impegnato a guarire le proprie problematiche attivate dalle proiezioni del paziente. Tale attenzione peculiare alla guarigione del proprio Sé, insieme a quella del paziente, attribuisce un importante significato alla relazione duale come ad una nuova famiglia disponibile ed alternativa per il paziente. L’analista, nel prendersi cura di se stesso, dovrebbe naturalmente essere in grado di riconoscere le proprie precedenti esperienze intollerabili, favorendo il lavoro d’analisi del paziente. Il processo analitico, come una metaforica esperienza di viaggio, permette al protagonista ed all’analista di riconoscere se stessi come due individui distinti e separati, (Stone 1954).Se il paziente funziona meglio in un setting dove il teatro interno è espresso oralmente, ha maggiori possibilità di progredire in un gruppo di psicoterapia che in una relazione duale. Ciò sviluppa, infatti, un più ampio sistema di rappresentazioni all’interno del Sé che conduce ad una più rapida focalizzazione della realtà interna. Freud nel 1914 descriveva la realtà come l’opposto dell’ordine immaginario; Bion (1963 bis), invece, individua, nell’esperienza dell’assenza, della relazione duale (cioè il controllo visuale dell’analista o anche le risposte disattese o non gratificanti) uno stimolo per i movimenti psichici tra gli interlocutori interni e l’attivazione del pensiero simbolico (Bion 1963 bis): tale dimensione simbolica facilita il passaggio nella realtà connettendo le azioni reali, mentre il pensiero indigerito conduce alla messa in atto come meccanismo di difesa mirante ad espellere quel che non si può elaborare.Infatti se lo spazio interno del paziente non è abbastanza strutturato o non sufficientemente ampio per sintetizzare le esperienze, egli è costretto, a livello inconscio, ad espellerle o ad attaccare il suo corpo, cercando disperatamente di rimanere all’interno di uno spazio protettivo. Questo, però, corrisponde ad un ordine immaginario che mantiene il soggetto al riparo dal pericoloso ordine del reale .Nel caso di chi disponga di un mondo interno troppo povero da avviare il processo di simbolizzazione, come nel caso degli alessitimici e anche dei pazienti psicosomatici, il gioco psicodrammatico, come la scena modello, (Lichtenberg 1983), potrebbe essere maggiormente efficace della tecnica psicoanalitica duale. Se questo tipo di paziente è incapace di trovare le parole per esprimere le proprie emozioni e pure di riconoscere le connessioni che queste hanno con il proprio corpo, gli interlocutori con i quali egli entra in una relazione di gioco possono, in psicodramma, essere accostati gradualmente e dolcemente: ciò avviene dal momento che l’invito che il direttore o gli altri partecipanti rivolgono per giocare una scena, può essere dall’interessato respinto in quel momento. Il senso di questo rinvio viene recuperato ai fini clinici, ma il paziente tecnicamente può prendersi il suo tempo individuale in modo da accontentarsi di assistere ai giochi degli altri, appagandosi, ma anche lavorando psicologicamente attraverso l’identificazione introiettiva e proiettiva. Questo può aiutare ed attivare emozioni nascoste e mettere in luce differenti aspetti del Sé focalizzando tratti dell’inconscio attraverso momenti diversi di elaborazione. Per di più, la combinazione psicologica del corpo, (McDougall 1989, & Favaretti e altri 1998), e l’atteggiamento che il paziente assume nel gioco possono aiutarlo a riconoscere come egli stia vivendo una situazione psicologica. Infatti, il gioco interrompe la ripetizione ciclica: giocare esperienze del passato non ha a che fare con puro atto, ma piuttosto con un liberarsi autorizzato che, all’interno di uno spazio protetto, cerca soltanto di consentire alle emozioni di essere sentite allo scopo di enfatizzare il Sé nelle sue articolazioni più profonde, per fornire allo stesso tempo maggior concretezza a ciò che e stato detto.S. Freud (1912/14) comprese che per il nipote Ernst, il gioco del rocchetto era il modo magico con cui controllava il proprio distacco dalla madre Sophie.M. Klein (1932), durante la psicoterapia con i bambini accettò che questi le assegnassero ruoli cercando di raggiungere il cambiamento desiderato anche accettando con loro lo scambio dei ruoli, impiegando all’interno del setting alternative che erano suggerite dalle diverse meta-rappresentazioni.Winnicott (1953 e 1971) descrive lo spazio transizionale come un’area che consente al bambino di mediare tra fantasia e realtà, un oggetto interno (madre) e una realtà fatta di stimoli sensoriali esterni, ancora tra una realtà onirica, l’illusione, collocata tra l’area dell’inconscio/conscio, tra l’Io ed i suoi interlocutori.Il gioco psicodrammatico mira ad aprire una breccia tra il lacaniano reale dell’inconscio ed il muro della realtà esterna, tra i nomi delle cose e le cose in se stesse.La dimensione illusoria che Winnicott riferisce al lavoro clinico-psicoanalitico è un presupposto essenziale per lo psicodramma analitico; l’obiettivo psicoterapeutico riguarda l’ascolto dell’illusione proprio per staccarsi veramente da questa. Tale processo risulta davvero difficile da attuarsi, se l’illusione non è stata sufficientemente riconosciuta nei suoi aspetti seduttivi.Penso che ogni tecnica psicoanalitica funzioni richiamandosi ad un modello psichico di tipo scenico-spaziale, nel senso che gli eventi, sia immaginari che reali, cercano una dimensione percettiva concreta in una sorta di rappresentazione scenica del mondo interno dei partecipanti, (Schaffer, 1968, Stewart 1985).


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[1] Membro didatta della Soc. It. di Psicodramma Analitico (SIPsA) consociata Conf. Organizz. It. Ricerca Analitica sui Gruppi, (COIRAG) e della Societè d’Etude Pratique et Theorique (Sept, Paris). Membro della Internat. Ass. Group Psychotherapy (IAGP). Membro della Soc. It. di Psicoterapia Psicoanalitica (SIPP) e della European Federation for Psychoanalytic Psychotherapy, (EFPP).Nationally Certified Psychoanalyst della World Ass. for the Advancement of Psychoanalysis (NewYork, NY).

[2] Mi rappresento il senso di identità come esperienza di SÈ/sè: la prima offre un’immagine di ciò che si era, includendo la corporeità e qualunque esperienza individuale. La seconda esprime uníimmagine che si è ottenuta attraverso il modellamento e la conferma degli altri. Bion (1962), suggerì che la costruzione dell’identità potrebbe essere pensato in ciò che una persona sta diventando nel reale , cioè nel suo linguaggio K versus O , (1963).

[3] In analisi individuale é lo psicoanalista che può rappresentarle tutte: nel gruppo anche gli altri partecipanti possono rappresentare gli interlocutori interni.

[4] Paziente.

[5] mondo interno del paziente, del quale lo psicoanalista è anche parte.

[6] Riuscire a rendere le proprie emozioni a caldo in seguito ad un gioco coinvolgente nei propri panni o in quelli di qualcun altro.

[7] Amico che ricorre spesso nei racconti del paziente con cui egli ha condiviso parecchie ragazze, dopo però che queste avevano avuto prima una relazione con l’amico.

[8] Lacan considera il grande Altro come un luogo nel quale comincia líalterit‡ radicale: si tratta della madre protettiva ed al tempo stesso divorante che per prima occupa lo spazio interno del bambino, (líAltro): la posizione di uníambigua Alterit‡ . Pertanto, líAltro rappresenta líInconscio, líintelocutore che mai d‡ risposte complete, ma che assesta i processi psichici della parola.

[9] Un minuscolo tumore benigno ostruiva il dotto che connetteva l’utero con una delle tube di Fallopio che, pertanto, non funzionava affatto.

La comunicazione assertiva
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L'assertività o arte del rapporto interpersonale è, in Italia, una disciplina ancora misconosciuta. Essa descrive un modo di agire e uno stile relazionale in cui il rispetto dei propri desideri e bisogni riveste un ruolo di primo piano, mantenendo allo stesso tempo l'attenzione ai diritti e all'uguaglianza tra le persone. Il manuale guida il lettore lungo un percorso di crescita e auto-miglioramento che conduce all'equilibrio con se stessi e a una migliore interazione con gli altri...

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